La domanda di mediazione dev’essere simmetrica a quella giudiziale

di Avv. Luigi Viola

Cosa può succedere quando viene presentata in fase di mediazione obbligatoria una domanda diversa da quella successivamente presentata in fase processuale con citazione o ricorso?

1. Il problema 2. Necessaria simmetria 3. Personae 4. Causa petendi 5.Petitum 6. Quantum di modifica

1. Il problema

La domanda di mediazione deve contenere i requisiti indicati all’art. 4 del d.lgs.28/2010, ossia organismo, parti, oggetto, ragioni della domanda. Il contenuto del suddetto articolo è praticamente equivalente a quello dell’art. 125 c.p.c.,circa il contenuto degli atti processuali, fatta la sola eccezione per gli “elementi di diritto”.

Ebbene: la domanda di mediazione deve essere necessariamente presentata nei casi di materie tipizzate, ma cosa può succedere quando viene presentata in fase di mediazione obbligatoria una domanda diversa da quella successivamente presentata in fase processuale con citazione o ricorso (o ricorso in citazione, ex art. 702bis c.p.c.)?

La domanda è ciononostante procedibile, oppure in prima udienza dovrà essere rilevato il difetto di procedibilità perché la domanda è nuova rispetto a quella presentata in fase di mediazione?

Esemplificativamente: Tizio presenta istanza di mediazione contro Caio, chiedendo il risarcimento danni pari ad euro 10.000,oo per immissioni rumorose; ammettiamo che le immissioni siano superiori rispetto a quelle previste nel regolamento condominiale, così versando in materia condominiale obbligatoria; la mediazione non ha esito positivo, e si redige un verbale negativo; Tizio agisce, allora, in via processuale contro il condomino Caio chiedendo sempre il risarcimento danni, ma derivanti dalla rottura della porta della propria abitazione condominiale; il giudice dovrà ritenere già esperito il tentativo di mediazione, oppure dovrà sollevare l’improcedibilità perché il fatto (causa petendi) è diverso?

2. Necessaria simmetria

A rigore, vi deve essere una simmetria tra fatti narrati in sede di mediazione e fatti esposti in sede processuale, almeno per i fatti principali; diversamente dovrebbe essere dichiarata l’improcedibilità.

Se, cioè, la domanda giudiziale è radicalmente diversa da quella di mediazione, allora si tratterà di domanda nuova che non è passata dal filtro della mediazione obbligatoria dell’art. 5 del d.lgs. 28/2010, così da imporre la dichiarazione di improcedibilità. La domanda di mediazione dovrebbe essere identificata dagli elementi delle parti, oggetto e ragioni, corrispondenti in sede processuale alle personae, petitum e causa petendi dell’art. 125 c.p.c.: vi deve essere simmetria tra queste domande; l’asimmetria, in senso innovativo-ampliativo, comporterà la pronuncia di improcedibilità.

3. Personae

Le personae coinvolte nella mediazione devono essere le stesse di quelle chiamate in sede processuale, sul piano del litisconcorzio necessario, oppure possono essere diverse? Nessuna norma del decreto 28 prende posizione espressamente sul punto. Va detto, tuttavia, che la mediazione è essenzialmente deformalizzata e non sussistono obblighi circa la direzione della chiamata.

A rigore però il previo esperimento del tentativo di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, ex art. 5, d.lgs. 28/2010: la domanda può andare avanti se è stato esperito il tentativo di mediazione verso i soggetti coinvolti nel processo; il litisconsorte necessario deve essere chiamato nella fase di mediazione, altrimenti in sede processuale la domanda non sarà procedibile verso di lui.

Di massima, la giurisprudenza che si è occupata del problema – riferito, però, alle controversie agrarie – si muove nello stesso senso. D’altronde, anche un eventuale verbale positivo non può spiegare effetto verso il litisconsorte pretermesso, ex art. 1372 c.c. applicabile perchè emerge un negozio di accertamento. Molti Organismi, nell’ambito del loro regolamento, hanno previsto che il mediatore possa eccepire l’insufficiente legittimazione passiva o attiva, assegnando tempi per integrare.

4. Causa petendi

La causa petendi fatta valere in sede di mediazione, deve pure essere simmetrica a quella successiva presentata in sede processuale; si ritiene, precisamente, che i fatti principali costitutivi della pretesa sul piano del an debbano essere gli stessi.

Difatti, l’art. 4 del decreto 28 pretende l’indicazione delle “ragioni della pretesa”, con ciò potendo solo intendere – in un procedimento deformalizzato e senza tecnici (magistrati ed avvocati) – come fatti: la ragione della pretesa è quella della verificazione di un fatto latamente ingiusto, che è un fatto ovvero un accadimento. Non è necessario inquadrare giuridicamente il fatto perché l’istanza di mediazione non richiede anche l’indicazione di “elementi di diritto”, come invece avviene per la citazione, ex art. 163 c.p.c., e ricorso, ex art. 414 c.p.c. (ovvero per gli atti in generale, ex art. 125 c.p.c.). Gli accadimenti narrati in fase di mediazione, però, devono essere simmetrici a quelli esposti in fase processuale, per le materie obbligatorie: altrimenti, la domanda sarà improcedibile perché nuova (e quindi diversa) rispetto a quella passata dal filtro della mediazione. Ovviamente, questo non vuol dire che l’istanza deve tradursi in un equivalente atto giudiziario, perché non è richiesta la presenza di elementi di diritto; tuttavia, gli elementi fattuali costitutivi devono essere i medesimi.

Esemplificativamente: Tizio in sede di mediazione afferma di essere stato investito da Caio; successivamente, in fase processuale, il medesimo Tizio afferma che Caio passava con il semaforo rosso ad alta velocità e che c’erano diversi testimoni e che il fatto non si è verificato alle ore 13.00, ma alle 13.30; ebbene – in questo caso – vi è simmetria sui fatti principali e, dunque, procedibilità della domanda. La giurisprudenza è dello stesso avviso, almeno quella che si è occupata delle controversie agrarie dove è previsto un tentativo obbligatorio di conciliazione come condizione di procedibilità: il tentativo di conciliazione di cui all’art. 46 della L. 3 maggio 1982, n. 203, deve essere esperito, a pena di improponibilità della azione giudiziaria, prima della proposizione, in giudizio, di una domanda, relativa a una controversia in materia di contratti agrari, non prima della proposizione di ciascun processo o giudizio avente ad oggetto quella domanda. Ne segue, pertanto, che esperito il tentativo di conciliazione in ordine ad una certa domanda e proposta questa in giudizio, ove la parte, senza alcuna modificazione rilevante quanto agli elementi costitutivi (soggetti, “petitum”, “causa petendi”), riproponga quella stessa pretesa innanzi ad altro – o allo stesso – giudice questo nuovo processo non deve essere preceduto da un nuovo tentativo di conciliazione.

5. Petitum

A rigore anche il petitum, ovvero l’oggetto della pretesa (quello che si vuole) deve essere simmetrico – in fase di mediazione – rispetto a quello processuale. Si ritiene, in questa sede, tuttavia di dover fare un distinguo tra petitum mediato ed immediato: solo il primo dovrebbe essere simmetrico, ma non anche il secondo. Infatti, il petitum mediato, consistendo nel bene finale della vita che si vuol ottenere tramite lo strumento processuale deve essere simmetrico perché caratterizzante proprio sia la domanda di mediazione che quella giudiziale; è quello che davvero si vuole. Il petitum immediato, diversamente, consistendo nella richiesta formale può anche non essere simmetrico perché in fase di mediazione, proprio al fine di avere concrete possibilità/probabilità di addivenire a conciliazione (verbale positivo), la parte istante può formalmente chiedere meno di quanto farebbe in sede processuale; id est: è la stessa natura della mediazione a suggerire ed indurre la parte istanza a chiedere formalmente qualcosa in meno di quanto verrebbe chiesto in sede processuale. Pertanto, seppur in fase di mediazione viene chiesto di meno o cose diverse, rispetto alla domanda giudiziale, ciò non permette di affermare l’improcedibilità in prima udienza; è fisiologico, in altri termini, che nella fase della mediazione – anche in via di istanza – si possa formalmente chiedere qualcosa di diverso o minore rispetto al petitum immediato processuale. Diversamente opinando, verrebbe del tutto vulnerata la ratio sottesa alla mediazione, rendendola nei fatti un duplicato processuale.

6. Quantum di modifica

E’ sicuramente non pacifico il limite entro cui quanto detto in fase di mediazione può essere modificato; si ritiene di aderire, però, alla ricostruzione della domanda nuova nel senso processuale puro: la modifica deve incidere sugli elementi essenziali (personae,petitum, causa petendi) a tal punto che in un eventuale giudizio sarebbe necessario un ampliamento della piattaforma probatoria.

fonte: altalex

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Il ruolo del magistrato nella mediazione in Italia

L’intervento del Presidente della Corte di Appello di Roma Giorgio Santacroce all’inaugurazione del progetto europeo Judges in ADR

Giorgio Santacroce, Presidente della Corte di Appello di Roma, ricorda che durante gli incontri con i Presidenti e i Procuratori Generali delle Corti di Appello delle capitali dei 27 Paesi dell’Unione Europea, quando si trattava della mediazione/conciliazione si sentiva sempre un pò spiazzato, in quanto tale istituto aveva già trovato “casa” nell’ordinamento giuridico degli altri Paesi europei come metodo di composizione delle controversie alternativo al processo di cognizione innanzi al giudice statale.

E’ stata quindi con soddisfazione e speranza che ha accolto l’ingresso della medizione nel nostro sistema.

Santacroce riconosce che per l’Italia si tratta di una novità di portata rivoluzionaria nell’amministrazione della giustizia civile, avendo il D.Lgs. n. 28 del 2010 esteso ad una vasta gamma di controversie l’ambito di operatività della giustizia alternativa che era oggetto in precedenza di discipline settoriali e lacunose.

Dal punto di vista pratico “fondandosi su base volontaria e sulla fiducia riposta dalle parti, la mediazione è un istituto estraneo al giudizio di cassazione, mentre è utilizzabile nel giudizio davanti al giudice di pace, sempre che questo non sia adito esclusivamente per la funzione conciliativa non contenziosa prevista dall’art. 322 c.pc., considerata la sostanziale identità di quest’ultima attività con quella del mediatore.

Il regime del doppio binario

Introducendo la mediazione, il legislatore ha istituito una sorta di “doppio binario”, distinguendo le controversie civili per le quali il procedimento di mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale riguardo a un gruppo predeterminato di controversie e la cui esperibilità è dunque obbligatoria, e quelle per le quali la scelta di ricorrere a questa procedura è rimessa invece alla discrezionalità delle parti.

Quanto al tipo di attività che il giudice è chiamato a esercitare sull’iter del procedimento di mediazione, bisogna distinguere la mediazione ante causam da quella che può essere svolta nel corso del giudizio. La prima, obbligatoria, è esperibile prima dell’inizio del giudizio di primo grado; la seconda, facoltativa, può avvenire nel corso del giudizio a iniziativa del giudice. In posizione più defilata è prevista una mediazione per così dire concordata, che ricorre quando la clausola di mediazione o di conciliazione sia contenuta in un contratto o nello statuto o nell’atto costitutivo di un ente, dove pure è previsto un intervento del giudice (art. 5 comma 5).

Nei casi di mediazione ante causam, il giudice è tenuto a controllare innanzitutto se sia stato rispettato il dovere di informativa imposto al difensore all’atto del conferimento dell’incarico da parte del suo assistito (art. 4 comma 3 d.lgs. n. 28/2010, entrato in vigore per questa parte fin dal 20 marzo 2010). Il controllo consiste nel verificare se “il documento che contiene l’informazione è sottoscritto dall’assistito” ed è stato allegato “all’atto introduttivo del giudizio”, secondo il modello di informativa proposto in via generale dall’Ufficio Studi delConsiglio Nazionale Forense il 15 marzo 2010. Si tratta di un modello unico, distinto dall’atto di conferimento della procura alle liti, relativo sia alle controversie per le quali il ricorso alla mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale, sia alle controversie in cui l’utilizzo della procedura è meramente facoltativo.

In caso di mancata allegazione di questo documento il giudice procede d’ufficio, informando direttamente la parte dell’obbligo o della facoltà di chiedere la mediazione (art. 4 comma 3, parte finale). L’importanza dell’adempimento dell’informativa – che ha uno scopo essenzialmente promozionale e pubblicitario del “prodotto conciliazione” (sicuramente più capillare e mirato di quello imposto al Ministero della Giustizia dall’art. 21) – è tale che, se la parte non è presente, il giudice dovrà invitare il difensore a produrre l’informativa ovvero disporrà la comparizione delle parti davanti a sé ai sensi dell’art. 117 c.p.c.

E’ appena il caso di osservare che il controllo va fatto tutte le volte che la vertenza riguarda un contenzioso in cui il procedimento di mediazione può essere concretamente e potenzialmente utilizzato (art. 5 comma 1) e non quando l’informativa non è necessaria perché si verte in materia di diritti indisponibili (arg. a contrario, ex art. 2), ovvero quando l’istituto non trova applicazione, come nei casi elencati dall’art. 5 comma 4 (procedimenti per ingiunzione, procedimenti possessori, procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata, procedimenti in camera di consiglio, casi di azione civile esercitata nel processo penale). Il controllo va eseguito, inoltre, dal giudice all’inizio del processo di primo grado e non ogni volta che l’assistito rilasci un’altra procura nel corso del processo, nei vari gradi e fasi del giudizio (per mutamento del difensore, per limitazione della procura a una specifica attività, ecc.).

La seconda indagine che il giudice deve svolgere è prevista dall’art. 5 comma 1 e riguarda la verifica del rispetto dell’obbligatorietà della mediazione in tutti quei casi in cui l’esperimento della mediazione è previsto come condizione di procedibilità della domanda giudiziale (controversie in materia di condominio, diritti reali, divisione, ecc.). L’improcedibilità, oltre a dover essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza, va rilevata d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza. Nella stessa norma, poi, sono previsti e regolati gli altri interventi che il giudice è tenuto a fare ove accerti che la mediazione non è stata esperita, ovvero quando è iniziata ma non è stata conclusa.

La mediazione finalizzata alla conciliazione può svolgersi anche nel corso del giudizio, nelle ipotesi in cui il relativo procedimento debba essere obbligatoriamente espletato in via preliminare (c.d. mediazione delegata). Ai sensi dell’art. 5 comma 2, il giudice, anche in sede di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può invitare queste ultime – prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni, ovvero, quanto questa udienza non è prevista, prima della discussione della causa – a procedere alla mediazione.

Se le parti ignorano l’invito il processo prosegue senza che si producano conseguenze ulteriori rispetto a quella sancita dall’art. 116 comma 2 c.p.c. Se, invece, l’invito viene accolto, le parti sono libere di individuare la sede e l’organismo presso il quale avviare il procedimento di mediazione, come pure di negoziare autonomamente, al di fuori dei meccanismi regolati dal decreto legislativo del 2010. L’unico aspetto su cui interviene l’organizzazione giudiziaria sono i tempi, perché il giudice è tenuto ad assegnare il termine di 15 giorni, entro il quale va instaurato il procedimento di mediazione. Calcolando, inoltre, che l’iter della mediazione non può superare i quattro mesi (art. 6), il giudice deve fissare anche l’udienza in prosecuzione in una data successiva alla scadenza di tale termine, a conferma che l’arco di tempo che va dalla fissazione del termine iniziale alla scadenza di quello finale deve essere considerato un mero differimento e non un caso di sospensione del processo. Soluzione, questa, certamente da approvare, perché risparmia alle parti gli incombenti relativi a un’eventuale riassunzione.

Nella mediazione delegata, dunque, la valutazione relativa all’opportunità di seguire (o ripetere) la via conciliativa spetta in prima battuta al giudice, che invita a procedere alla mediazione, e in seconda battuta alle parti, che aderiscono all’invito: l’uno e le altre ritengono, rispettivamente, preferibile e conveniente che sia il mediatore – per le qualità e l’idoneità professionale che si presume e si spera che possegga – ad attivarsi per il raggiungimento di un accordo amichevole. Nella mediazione delegata il giudice si limita a prospettare l’opportunità di una composizione amichevole e negoziata da raggiungersi in via stragiudiziale, senza vincoli sull’an e sul quomodo. E’ bene precisare che la mediazione delegata non costituisce una vera e propria novità. Indipendentemente da quanto previsto dalla Direttiva europea 2008/52/CE (art. 5), già in virtù degli artt. 200 e 696-bis c.p.c. il giudice può “delegare” un terzo (il consulente tecnico) a tentare la conciliazione.

La funzione propulsiva del giudice di appello in questo tipo di mediazione è stata di recente confermata dallo schema di decreto-legge recante “disposizioni urgenti in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento e disciplina del processo civile”, che, all’art. 13, attribuisce al Presidente della Corte di Appello il compito di adottare “nell’ambito dell’attività di pianificazione prevista dall’art. 37 comma 1 del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, ogni iniziativa necessaria a favorire l’espletamento della mediazione su invito del giudice… e ne riferisce, con frequenza annuale, al Consiglio Superiore della Magistratura e al Ministero della Giustizia”.

Accanto alla mediazione finalizzata alla conciliazione prima e durante il processo introdotta dal d.lgs. n. 28/2010 continua ad aver vigore la mediazione c.d. endoprocessuale prevista dal codice di rito, che attribuisce al giudice la facoltà, nel giudizio di primo grado (art. 185 c.p.c.), e l’obbligo, nel giudizio di secondo grado (art. 350 c.p.c.), di esperire il tentativo di conciliazione. In questi casi, è evidente, la funzione di mediatore è svolta direttamente dal giudice, sulla base di una valutazione prettamente discrezionale. Finora la mediazione endoprocessuale del giudice non ha mai sortito effetti positivi, anche se è indubbio che nel corso del giudizio, stante il carattere disponibile dei diritti in contesa e lo stadio in cui si trova la causa, l’atteggiamento delle parti possa lasciar intuire qualche margine di successo. Il fatto è che un conflitto radicato in sede giudiziaria difficilmente si può risolvere mediante un procedimento di mediazione, perché le parti, a causa del progressivo deterioramento dei loro rapporti, non sono emotivamente disposte ad accettare la mediazione di un terzo estraneo, che non conosce la causa e deve studiarsi gli atti ab initio, fidandosi di più dell’esperienza e della competenza del giudice.

La novità della mediazione delegata però sta proprio in questo potere persuasivo del giudice, il quale, senza scoprire troppo le carte e senza quindi anticipare soluzioni, può svolgere, con l’ausilio degli avvocati, un’efficace opera di valorizzazione del nuovo strumento della mediazione, illustrando i vantaggi che comporta: dalla flessibilità che permette di ricercare una pluralità di soluzioni conciliative, anche discostandosi dall’oggetto della lite, alla riservatezza in ordine alle dichiarazioni e alle informazioni comunque acquisite (art. 9), ivi compresa la possibilità di sentire le parti separatamente. Esplicita sul punto è la relazione illustrativa secondo cui “il mediatore non è, come il giudice, vincolato strettamente al principio della domanda e può trovare soluzioni della controversia che guardano al complessivo rapporto tra le parti”, aggiungendo che “il mediatore non si limita a regolare questioni passate, guardando piuttosto a una ridefinizione della relazione intersoggettiva in prospettiva futura”. Per non
parlare del risparmio di tempo e di denaro che la mediazione comporta rispetto al giudizio di cognizione ordinario e dei costi e delle agevolazioni fiscali che prevede (art. 17). Non è un caso, quindi, che l’art. 7 stabilisca che i periodi di tempo occorrenti per esperire la mediazione non si computano ai fini dell’indennizzo previsto dalla legge Pinto per l’eccessiva durata del processo.

Il ruolo del giudice nella mediazione non si esaurisce nella disciplina fin qui esaminata, perché il legislatore, deciso ad incrementare in ogni modo il ricorso alla mediazione, persevera nel sanzionare economicamente la parte che voglia comunque essere tutelata in giudizio, in quanto insoddisfatta delle possibilità di vantaggio conseguibili in sede di mediazione. A parte l’omologazione del verbale da parte del presidente del tribunale del circondario dove ha sede l’organismo di conciliazione, prescritta dal primo comma dell’art. 12, che si concreta nel mero accertamento della sua regolarità formale, particolare rilievo assume la disciplina dell’incidenza del procedimento di mediazione sulle spese processuali del giudizio intrapreso a seguito del mancato raggiungimento dell’accordo conciliativo: che fa scattare sanzioni pesanti e in automatico quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta conciliativa. L’art. 13 impone, infatti, al giudice l’obbligo, nella liquidazione delle spese di giustizia, di tener conto dell’esito infausto della mediazione, condannando la parte vittoriosa a pagare le spese processuali sostenute dal soccombente nel periodo successivo alla proposta, oltre ad altre spese specificamente dettagliate. Disposizione che continua a destare non poche perplessità, specie se il procedimento è stato incentrato su questioni più ampie rispetto a quelle oggetto di giudizio, attesa la natura facilitativa della mediazione, tanto più che il giudice potrebbe non avere piena conoscenza degli elementi e delle ragioni che hanno condotto alla proposta di mediazione rifiutata, come maturate nel corso delle sessioni di incontro separate.

Non senza ragione, quindi, il CSM, nel parere espresso sul disegno di legge delega, proprio con riferimento alle spese del giudizio, aveva suggerito di consentire “al giudice di valutare, al termine della causa, la ragionevolezza e la giustificabilità del rifiuto da parte del vincitore della causa di procedere a un tentativo di risoluzione alternativa, con le necessarie conseguenze in termini di spese del giudizio”. Aggiungendo: “non si dovrà trattare di una conseguenza automatica ma di una conseguenza caso per caso, basata sul comportamento delle parti nella causa e sulla obiettiva incertezza del caso”.

Fonte: www.mondoadr.it

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Mediazione, dal CNN il decalogo per l’autentica dell’accordo

Il Consiglio nazionale del notariato ha redatto un documento in cui riporta una sorta di decalogo per il notaio chiamato ad autenticare (o a rogare) accordi di conciliazione, raggiunti nell’ambito del procedimento di “media conciliazione” di cui al D.Lgs. n. 28/2010.

n particolare, partendo dal presupposto fondamentale, che agli “accordi” raggiunti in ambito conciliativo deve riconoscersi natura di “contratto”, può dirsi che il notaio deve:

1) verificare che l’accordo sia intervenuto su diritti “disponibili” o comunque su diritti che possono formare oggetto di regolamento “negoziale privato” o comunque non in violazione di norme imperative (in questa ottica deve ad esempio escludersi che con un accordo amichevole di conciliazione possano raggiungersi accordi relativi a diritti patrimoniali attinenti al “regime primario” della famiglia – obblighi di contribuzione – o relativi ai figli o agli obblighi nascenti dal matrimonio, oppure possano assumersi validi obblighi a donare, oppure possano raggiungersi accordi in violazione al divieto dei patti successori);

2) verificare il rispetto delle “forme” previste dalla legge (es. necessità di atto pubblico con i testimoni come per le donazioni, patti di famiglia ecc);

3) verificare la capacità delle parti e la loro legittimazione a disporre dei beni oggetto di accordo (capacità di agire, regime patrimoniale coniugale ecc..);

4) verificare il rispetto delle norme in materia di rappresentanza volontaria, legale od organica delle parti;

5) verificare la necessità di applicare normative speciali dettate per la particolare condizione dei soggetti intervenuti (stranieri che non conoscono la lingua italiana, non vedenti, muti, non udenti ecc..);

6) verificare che siano state rispettate tutte le normative dettate per il bene che forma oggetto dell’accordo ed in considerazione degli effetti prodotti dall’accordo stesso.

Ad esempio qualora con l’accordo si trasferisca o si costituisca un diritto reale su un bene immobile dovranno essere rispettate tutte le relative normative speciali (urbanistiche, catastali, fiscali);

7) aver sempre chiara la distinzione netta fra la mera “certificazione” del mediatore e “l’autenticazione” del pubblico ufficiale necessaria ai fini della pubblicità dell’accordo e la, conseguente, caratteristica strutturale che per poter accedere ai pubblici registri l’accordo deve essere sottoposto al controllo di legalità tipico dell’attività notarile e le sottoscrizioni delle parti devono essere autenticate dal pubblico ufficiale;

8) astenersi dall’autenticare accordi amichevoli in violazione di norme imperative, dell’ordine pubblico, che non abbiano ad oggetto “diritti disponibili”, che abbiano ad oggetto fattispecie che non possono essere oggetto di regolamentazione con “atto negoziale di autonomia privata” o comunque accordi invalidi;

9) osservare le norme in materia di conservazione degli atti a raccolta, precisandosi al riguardo che le norme del D.Lgs. che prevedono il deposito del verbale, ed allegato accordo, presso la segreteria dell’organismo di mediazione non derogano alla normativa prevista per gli atti notarili, da considerarsi comunque speciale;

10) assumere la responsabilità per i successivi adempimenti fiscali e di pubblicità legale.

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Mediazione e RC-AUTO: pubblichiamo un interessante contributo di Carlo Recchia, avvocato e mediatore

Pubblichiamo un interessantissimo contributo di Carlo Recchia, avvocato e mediatore professionista, sulla mediazione per i casi di r.c. automobistica.

RC. AUTO e Mediazione

Noi sappiamo bene, che il Dlg. 209/2005 e ancora prima la ormai mitica legge 990/69,ci impone prima di proporre una azione processuale contro una compagnia di assicurazioni, di attendere il cosiddetto “spatium deliberandi”, e di fatto ci impone di tentare prima un accordo bonario con la compagnia, da cui i noti ispettorati sinistri, organizzati in maniera più o meno funzionale da parte di tutte le compagnie, dove ci rechiamo per tentare una transazione sul risarcimento.

Sappiamo già che l’art. 22 legga 990/69 nell’ originale formulazione non imponeva particolari formalità, se non quella di inviare una richiesta di risarcimento a mezzo raccomandata r.r., mentre l’art 145 sulla condizione di proponibilità della domanda con i successivi artt. 149 e 148 del Codice delle Assicurazioni, sono piuttosto stringenti nell’imporre che le lettere di intervento abbiano determinati requisiti, e in caso di danno alla persona, ci impongono di mettere a disposizione elementi utili per la valutazione del danno, insomma ci invitano a fornire una serie di elementi per consentire alla compagnia una formulazione di offerta.

Ora, come conciliare la disciplina prevista dal codice della assicurazioni, che non credo ci sia bisogno di illustrare qui, perché siamo tutti pratichi della materia, con l’obbligo di andare da un mediatore prima di fare un eventuale causa, o meglio con il procedimento di mediazione ?

Ovviamente, sentenze che possano aiutarci non ne abbiamo.

Prima questione :

Possiamo inviare una istanza di mediazione in pendenza del termine e iniziare la procedura in pendenza dello spatium deliberandi imposto dalla legge ?

Sicuramente è possibile inviare una istanza di mediazione, anche in pendenza dello spatium deliberandi, e possiamo dire sicuramente per un semplicissimo motivo :

1) L’art. 145 cda, dichiara improponibili le domande giudiziali prima dello scadere del termine di 60 o 90 giorni dalla ricezione della raccomandata di messa in mora, anzi l’art. 145 parla letteralmente di azione risarcitoria, e non vi è dubbio che l’istanza di mediazione non è un atto processuale e non è una domanda processuale, ma solo una istanza a comparire di fronte un organismo non giurisdizionale e ad un soggetto che non ha poteri decisionali, per tentare una definizione bonaria, quindi procediment stragiudiziale.Tecnicamente proporre una istanza di mediazione non è nemmeno una azione risarcitoria.

Per cui senz’altro possiamo proporre una istanza di mediazione anche a prescindere dall’invio della messa in mora, e a prescindere dalla circostanza che lo spazio deliberativo sia trascorso o no.

Qualcuno ritiene che prima dello spirare dei 90/60 giorni, la compagnia possa legittimamente rifiutare proposte di mediazione, o non sottoscrivere alcun accordo, o addirittura rifiutarsi con giustificato motivo di aderire alla mediazione, intendendo lo spatium deliberandi come vero e proprio beneficio del termine a favore del debitore ( art. 1185 c.c. ), tra questi il Rossetti.

Mi sembra una interpretazione non condivisibile per questi motivi :

– Lo spatium deliberandi, venne introdotto con l’art.22 legge 990/69 con l’esplicita finalità di “ favorire accordi transattivi per la liquidazione del danno in modo da evitare per quanto possibile azioni giudiziarie “ ( Relazione Ministeriale, in RCP 70,192 ) nonché “ perché si evitino citazioni intempestive ed ingiustificate, che aggraverebbero i costi di gestione del sinistro, con riflessi sulla collettività”

– La mediazione, non è una azione giudiziaria, non è un processo come abbiamo già detto, è una procedura stragiudiziale, e quindi a sua volta, evita – in identica ratio alla legge sulle assicurazioni private – atti di citazioni e cause inutili, consente una soluzione bonaria, quindi non può contrastare e non contrasta con le finalità appena accennate, e sarebbe irragionevole, sicuramente non giustificato, che una compagnia non aderisca ad una procedura stragiudiziale, introdotta in materia di R.C. auto, come ho detto, con identica ratio.

Ma vi è di più,

la Suprema Corte in ben due sentenze, proprio per chiarire che l’art. 22 ( oggi art. 145 c.d.a.), sospendeva il diritto di agire in giudizio ma solo e soltanto questo diritto, ribadiva che il diritto può essere esercitato in tema di r.c. auto, anche nello spatium deliberandi con ogni altro atto consentito dalla legge

“ È, quindi, da escludere che le condizioni alle quali il sistema dell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile subordina la proponibilità in concreto dell’azione risarcitoria, in quanto disposizioni interne al meccanismo e che attengono alle modalità di esecuzione ed espletamento dell’azione, si configurino come impedimenti all’ “esercizio del diritto” del danneggiato, e, come tali, abbiano influenza sulla decorrenza della prescrizione.

L’esercizio del diritto non deve avvenire necessariamente mediante l’esperimento dell’azione giudiziaria, ma può essere attuato anche con qualunque altro atto consentito dalla legge (art. 2943, ultimo comma, c. c.).” ( Cass. Sez. U. 11847/92 e Sez. U. 92/7194)

E ancora concludeva nel 1993 in successiva sentenza la Cassazione che

“ Le disposizioni dettate con l’art. 22 della legge 24 dicembre 1969, n. 990 e con l’art. 8 della legge 24 novembre 1978 n. 738, laddove non consentono di proporre la domanda di risarcimento prima del decorso del termine assegnato all’assicuratore per provvedere sulla richiesta stragiudiziale del danneggiato atteso che dette norme non impediscono a questo di compiere entro quel termine ulteriori atti non giudiziali, come la detta richiesta, idonei ad esercitare il diritto e così ad escludere l’inutile decorso del relativo periodo prescrizionale” ( Cass. 11334/93 )

Quindi concludendo,

l’istanza di mediazione che non è esercizio di azione processuale, ma solo atto di esercizio di un proprio diritto, posso proporla quando ritengo più opportuno, anche nel corso dello spatium deliberandi, ed è un atto consentito dall’ordinamento ( che esclude solo la citazione giudiziale nel termine indicato),

La compagnia è tenuta a presenziare e non può sollevare come legittimo impedimento o giustificato motivo, il mancato decorso del termine per formulare l’offerta concesso dalla legge.

Altresì, possiamo tranquillamente mandare l’istanza di mediazione, insieme alla lettera di intervento classica, nessuna norma lo vieta, ed anzi abbiamo visto che sono due atti distinti, entrambi leciti ed entrambi rispondono alla stessa finalità, evitare azioni giudiziarie pretestuose.

Nulla vieta infine, di mandare una istanza di mediazione che abbia anche i requisiti della messa in mora, previsti dall’art. 148 e 149 c.d.a., in modo tale che con un solo atto si possano ottenere due risultati, mettere in mora la compagnia per ottenere una offerta ed instaurare un procedimento di mediazione in modo contestuale.

La convenienza e l’opportunità di una scelta rispetto all’altra, dipende dal singolo caso che ci troviamo a patrocinare, sta di fatto però che la convenienza di trattare un sinistro dinanzi ad un soggetto terzo ed imparziale, magari utilizzando consulenti tecnici anche loro terzi, è senz’altro maggiore rispetto alle trattative classiche ove le valutazioni non sono fatte da soggetti terzi, ma da dipendenti e fiduciari del debitore, compagnia di assicurazioni.

In definitiva, sino ad oggi, siamo stati costretti in forza di legge, a tentare una transazione con il debitore, utilizzando valutazioni unilaterali del debitore stesso ( periti della compagnia, medici legali della compagnia ), da adesso possiamo scegliere di utilizzare un diverso sistema, una procedura di mediazione al di fuori degli uffici della compagnia, in territorio neutro.

A chi mandare la domanda di mediazione ? solo alla compagnia? o anche al responsabile civile?

Nessun problema in merito alle procedure di indennizzo diretto, i rapporti anche i futuri rapporti processuali saranno con la compagnia del danneggiato, e quindi in mediazione si chiamerà soltanto la compagnia del danneggiato.

In caso di azione diretta, quindi di procedura ordinaria ex art. 148 c.d.a, noi sappiamo che nei giudizi civili l’assicuratore r.c. auto ed il proprietario del veicolo responsabile sono litisconsorti necessari, e devono essere chiamati entrambi in giudizio.

Potrebbe porsi il problema in un successivo giudizio, se noi abbiamo invitato solo la compagnia in mediazione, il responsabile civile chiamato in giudizio potrebbe eccepire che nei suoi confronti non è stato esperito alcun tentativo pure obbligatorio, e quindi potrebbe far dichiarare l’improcedibilità della domanda, facendoci tornare in mediazione un’altra volta.

E’ pure vero che per legge è la compagnia che deve rispondere del danno, che è responsabile in solido con il danneggiato, il quale non è vincolato alle decisioni della compagnia.

Io in via prudenziale, soprattutto in questa prima fase applicativa, non conoscendo gli orientamenti dei magistrati in materia, consiglierei di mandare l’istanza di mediazione anche al proprietario del mezzo, in modo da evitare ogni tipo di discussione, almeno fino a che non arrivi una qualche sentenza futura a sciogliere il dubbio.

[…]

Avv. Carlo Recchia

Fonte: diritto.net

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Mediazione Obbligatoria: confermato il 21 marzo per condominio e RC auto

Il Ministero della Giustizia chiarisce e fuga i dubbi (sollevati negli ultimi giorni) su un rinvio dell’obbligatorietà della mediazione per condominio e danni da circolazione di veicoli e natanti. 

OUA, CNF e CF chiedono un rinvio per condominio e RC auto.

Il “polverone” (ed il tam-tam mediatico) è stato sollevato dalla lettera che i presidenti di CNF, OUA e Cassa Forense hanno inviato al Presidente del Consiglio ed ai Ministri della Giustizia e dello Sviluppo Economico. Oggetto della missiva era la richiesta di disporre un “rinvio dell’entrata in vigore” della mediazione obbligatoria in materia di condominio e danno da circolazione di veicoli e natanti.

Il Ministero della Giustizia: nessun rinvio.

Con un comunicato datato 14 marzo 2012 il Ministro Severino sintetizza il contenuto della riunione pomeridiana con numerosi rappresentanti dell’avvocatura: si parte dalla manovra di Agosto sugli Ordini Professionali per giungere alla mediazione, passando attraverso la “qualità della professione” e una riflesione su un'”avvocatura realmente competitiva”.

“Non ci saranno rinvii rispetto alla data del 21 marzo prossimo – chiarisce il Ministro Severino – quando questa diventerà obbligatoria anche per le liti condominiali e per i risarcimenti danni da infortuni stradali”.

La tappa successiva sarà un attento monitoraggio sui risultati della mediazione per verificare e risolvere eventuali criticità emerse.

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Schema di decreto legge – Modifiche alla disciplina della mediazione

Schema di decreto legge recante: «Disposizioni urgenti in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento e disciplina del processo civile»

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;

 

Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento e disciplina del processo civile, al fine di assicurare una maggiore funzionalità ed efficienza della giustizia civile

 

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del

 

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro della Giustizia

 

EMANA

 

il seguente decreto-legge

 

[…]

CAPO II

 

DISPOSIZIONI PER L’EFFICIENZA DELLA GIUSTIZIA CIVILE

 

Art. 13.

 

(Modifiche alla disciplina della mediazione)

 

1. Al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, sono apportate le seguenti modifiche:

 

a) all’articolo 5, dopo il comma 6, è inserito il seguente: “6-bisIl capo dell’ufficio giudiziario vigila sull’applicazione di quanto previsto dal comma 1 e adotta, anche nell’ambito dell’attività di pianificazione prevista dall’art. 37, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, ogni iniziativa necessaria a favorire l’espletamento della mediazione su invito del giudice ai sensi del comma 2, e ne riferisce, con frequenza annuale, al Consiglio Superiore della Magistratura ed al Ministero della Giustizia.”;

 

b) all’articolo 8, comma 5, al secondo periodo sono anteposte le seguenti parole: «Con ordinanza non impugnabile pronunciata d’ufficio alla prima udienza di comparizione delle parti, ovvero all’udienza successiva di cui all’articolo 5, comma 1,».
RELAZIONE ILLUSTRATIVA

L’art. 13 mira a perfezionare la disciplina della mediazione introdotta nel nostro ordinamento dal decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28. Si intende rendere maggiormente efficace la disciplina creando un collegamento specifico tra la mediazione demandata dal giudice e la programmazione della gestione del contenzioso civile introdotta dall’articolo 37, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e rendendo maggiormente tempestiva la sanzione per l’ipotesi di ingiustificata mancata comparizione delle parti dinanzi al mediatore.

Viene posto, infatti, a carico dei capi degli uffici giudiziari l’onere di vigilare sull’applicazione effettiva della condizione di procedibilità prevista dall’art. 5, comma 1, del decreto legislativo e di adottare ogni iniziativa necessaria a favorire l’espletamento della mediazione su invito del giudice, anche nell’ambito dell’attività di pianificazione  introdotta dall’art. 37, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e a stabilire altresì un obbligo di informazione periodica sugli esiti nei confronti del Consiglio Superiore della Magistratura e del Ministero della Giustizia.

Viene, inoltre, precisato che la sanzione prevista dall’art. 8, comma 5, del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, a carico della parte costituita che senza giustificato motivo non ha partecipato al procedimento di mediazione, deve essere applicata dal giudice con apposita ordinanza non impugnabile e, dunque, non revocabile, pronunziata d’ufficio alla prima udienza di comparizione delle parti, invece che con la sentenza che definisce il giudizio, al fine di garantire una maggiore tempestività e, conseguentemente, una maggiore effettività della sanzione già prevista dall’ordinamento vigente (ndR versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per giudizio).

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Fallisce il tentativo di sospendere l’efficacia del regolamento attuativo delle disposizioni in materia di mediazione civile

Il Tar Lazio, con l’ordinanza 20 dicembre 2011, n. 4911 e l’ordinanza 20 dicembre 2011, n. 4909, ha rigettato la sospensione dell’efficacia del D.M. 18 ottobre 2010, n. 180 e del successivo D.M. 6 luglio 2011, n. 145.

Secondo i giudici romani non sussisteva un danno grave e irreparabile ai fini della concessione della richiesta misura cautelare.

I ricorsi erano stati presentati dall’Unione Nazionale delle Camere Civili contro il Ministero della Giustizia e il Ministero dello sviluppo economico.

T.A.R.

Lazio – Roma

Sezione I

Ordinanza 20 dicembre 2011, n. 4911

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 11235 del 2010, proposto da:

Unione Nazionale delle Camere Civili (Uncc) di Parma, rappresentato e difeso dagli avv.ti Francesco Storace e Antonio De Notaristefani Di Vastogirardi, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Crescenzio, 20;

contro

Ministero della giustizia, Ministero dello sviluppo economico, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n.12;

per l’annullamento

previa sospensione dell’efficacia,

del decreto n. 180 del 18 ottobre 2010, adottato dal Ministro della giustizia di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 4 novembre 2010.

Visto il ricorso;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero della giustizia e di Ministero dello sviluppo economico;

Vista la domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dalla parte ricorrente;

Visto l’art. 55 c.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Ritenuta la propria giurisdizione e competenza;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2011 il cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti i difensori come da relativo verbale;

Considerato che non sussistono i presupposti per la concessione della richiesta misura cautelare;

Ritenuto, in particolare, l’insussistenza di un danno grave e irreparabile;

Considerato che sussistono giusti motivi per compensare tra le parti costituite le spese di lite della presente fase;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

Respinge la suindicata domanda incidentale.

Compensa le spese della presente fase cautelare.

La presente ordinanza sarà eseguita dall’Amministrazione ed è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 dicembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giovannini, Presidente

Roberto Politi, Consigliere

Anna Bottiglieri, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 20/12/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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Mediazione: la nuova circolare interpretativa del ministero

Circolare 20 dicembre 2011 – Interpretazione misure correttive decreto interministeriale 145/2011
20 dicembre 2011

Ministero della Giustizia

Dipartimento per gli affari di giustizia

il Direttore generale della Giustizia civile
Visto l’art. 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28;

visto il decreto interministeriale del Ministro della Giustizia di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico 18 ottobre 2010 n. 180, pubblicato sulla G.U. 4 novembre 2010 n. 258;
visto il decreto interministeriale 6 luglio 2011 n.145, recante modifica al decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010 n.180;
ritenuta la necessità di dare specifica indicazione su alcuni profili problematici inerenti la corretta interpretazione ed applicazione del d.i. n.180/2010, così come corretto dal sopra citato d.i. n. 145/2011;
adotta la seguente

CIRCOLARE

Come è noto, a quasi un anno dall’entrata in vigore del d.i. n. 180/2010 si è ritenuta la necessità, con il d.i. 145/2011, di adottare misure correttive nella regolamentazione della disciplina in materia di determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione, nonché in materia di indennità per il compimento del servizio di mediazione e conciliazione.

Tenuto conto delle novità introdotte, dei diversi quesiti pervenuti e dei principali profili di incertezza che sono stati posti all’attenzione, si intende procedere ad offrire la linea interpretativa di questa direzione generale con la indicazione dei criteri direttivi da seguire.

Attività di vigilanza:

L’art.1, comma 2 lett.b) ha specificato che l’attività di vigilanza può essere altresì compiuta avvalendosi dell’Ispettorato generale del Ministero della Giustizia.

Il riferimento alla attività di vigilanza è quella già contemplata nelle previsioni generali di cui all’art.16, comma quarto, del d.lgs. 28/2010 nonché nelle previsioni regolamentari di cui agli artt.3,4,5, 10, 17,18, 19 del d.i. 180/2010.

La norma, dunque, ha una duplice valenza: da un lato, conferma la rilevanza della funzione di vigilanza attribuita all’Amministrazione, d’altro lato, conferisce uno strumento ulteriore per agevolare il concreto esercizio dell’attività di controllo.

L’attività di vigilanza, pertanto, verrà esercitata operando non solo, come già avviene, con un’attenta verifica della regolarità delle istanze proposte, ma anche su come viene concretamente esercitata l’attività di mediazione e di formazione da parte degli Organismi di mediazione e degli enti di formazione.

Pertanto, l’attività di controllo verrà compiutamente esercitata non solo verificando ipotesi di inosservanza delle previsioni di legge (primarie e secondarie), ma anche al non raggiungimento di standard minimi di qualità, requisito necessario per potere validamente svolgere un servizio di mediazione nonché di formazione che sia improntato al presupposto della professionalità, efficienza ed idoneità dei medesimi.

Sotto il primo aspetto, il controllo verrà esercitato tenendo in considerazione, ad esempio, le inosservanze agli obblighi di comunicazione imposti all’organismo, ovvero il venire meno dei requisiti richiesti (il capitale minimo, il numero minimo di mediatori, l’aggiornamento biennale degli stessi, ecc.); sotto il secondo aspetto, si farà riferimento alle modalità concrete di gestione del servizio (tempestività di provvedere alle comunicazioni a seguito della presentazione della istanza di mediazione; fissazione della prima sessione entro quindici giorni dal deposito dell’istanza; rispetto dei criteri di assegnazione degli incarichi ecc.).

Sarà comunque cura della direzione generale rendere noto a tutti gli organismi iscritti su quali profili si appunterà particolarmente l’attenzione per la verifica della rispondenza del servizio offerto dai vari organismi di mediazione con i livelli minimi di qualità esigibili.

Sintesi dei principi espressi:

l’amministrazione esercita il potere di vigilanza e di controllo, sia in fase preventiva (verificando la correttezza della domanda di iscrizione e la sussistenza dei requisiti richiesti) che successiva (verificando il continuo rispetto degli organismi di mediazione e dei mediatori agli obblighi cui sono tenuti secondo le previsioni normative primarie, secondarie nonché le direttive di questa amministrazione).

Il tirocinio assistito:

L’art.2, comma 1, del d.i. 145/2011 ha introdotto una modifica all’art.4, comma 3, del d.i. 180/2011 in tema di formazione dei mediatori.

In particolare, la precedente versione della previsione normativa in esame richiedeva che i mediatori, una volta iscritti, avevano comunque l’obbligo di compiere uno specifico aggiornamento, almeno biennale da acquisire presso enti di formazione accreditati secondo quanto previsto nell’art.18 del medesimo regolamento.

Il suddetto art.18 prevede, per chiarezza, che il percorso di aggiornamento formativo deve avere una durata complessiva non inferiore a 18 ore biennali, articolate in corsi teorici e pratici avanzati, comprensivi di sessioni simulate partecipate dai discenti ovvero, in alternativa, di sessioni di mediazione.

A completamento di tale previsione, l’art.4 del d.i. 145/2011 prevede che l’organismo iscritto è obbligato a consentire, gratuitamente e disciplinandolo nel proprio regolamento, il tirocinio assistito di cui all’art.4, comma 3, lettera b).

Con la previsione normativa introdotta, si inserisce un ulteriore, distinto, obbligo formativo, consistente nella partecipazione dei mediatori, nel biennio di aggiornamento ed in forma di tirocinio assistito, ad almeno venti casi di mediazione svolti presso organismi iscritti.

La previsione normativa ha dato luogo a diverse questioni applicative sulle quali occorre fare chiarezza.

Prima di approfondire le singole questioni è tuttavia opportuno precisare quale sia stata la ragione dell’intervento correttivo in esame in modo da potere individuare il fondamento del medesimo e, sulla base di questo, orientare le scelte interpretative.

A tal proposito, va evidenziato che i mesi successivi all’entrata in vigore del regolamento 180/2010 avevano evidenziato un profilo particolarmente rilevante sul piano della effettiva esperienza pratica del mediatore iscritto presso un organismo di mediazione.

Era, infatti, emersa la necessità che, oltre all’attività di formazione teorica di aggiornamento biennale, il mediatore iscritto curasse di compiere una formazione pratica fondamentalmente basata sulla verifica di come altri mediatori, anche essi iscritti, gestissero i diversi momenti del percorso di mediazione, confrontando la propria esperienza pratica con quella di altri mediatori.

Ed è per tale ragione che si è dunque ritenuto necessario aggiungere, ai fini del perseguimento dell’obiettivo di assicurare nel tempo una sempre maggiore competenza tecnica di ciascun mediatore, nell’ambito del percorso di aggiornamento biennale, anche una attività formativa pratica, imponendo un tirocinio obbligatorio assistito presso altri mediatori.

Questa è la finalità perseguita con la previsione di cui all’art.2 del d.i. 145/2011.

Ciò posto, può procedersi ad esaminare le diverse questioni proposte:

la norma ha valenza per i mediatori da iscrivere ovvero per i mediatori già iscritti?

Il dato testuale della norma (partecipazione nel biennio di aggiornamento) induce a precisare che il suddetto nuovo requisito non possa che riguardare solamente i mediatori già iscritti, essendo impensabile che si sia fatto riferimento ad un biennio di aggiornamento per chi non ha ancora ottenuto l’iscrizione.

Vi sono, poi, due altre ragioni che rafforzano il suddetto convincimento:

non si può imporre un obbligo se non nei confronti di chi è tenuto all’osservanza e, in caso di inosservanza, è passibile di sanzione. Sotto tale profilo, la norma non può che dirigersi nei confronti dei mediatori iscritti i quali, in quanto tali, sono tenuti ad osservare tutte le prescrizioni imposte;
la possibilità di assistere in forma di tirocinio alle mediazioni implica, altresì, che il soggetto tirocinante sia sottoposto al vincolo della segretezza e della riservatezza; tale vincolo non avrebbe senso nei confronti di soggetti che, in quanto non ancora iscritti, non sono sottoposti ad alcun potere di controllo e di vigilanza.

in cosa consiste la partecipazione in forma di tirocinio assistito?

La previsione normativa in esame si limita a prescrivere che la attività formativa pratica dovrà essere compiuta mediante la partecipazione, in forma di tirocinio assistito, ad almeno venti casi di mediazione.

Il termine “tirocinio” è stato utilizzato allo scopo di fare riferimento ad una attività di addestramento pratico. L’assistenza implica che il suddetto addestramento deve essere compiuto con la presenza di altro mediatore.

Di per sé, tuttavia, le norme non indicano le modalità attraverso cui può svolgersi la suddetta attività formativa pratica. In realtà, una risposta in merito può essere data tenuto conto del termine “partecipare” nonché della natura propria dell’attività di mediazione.

Sotto il primo profilo, la partecipazione può essere intesa in forma restrittiva, cioè limitata alla sola assistenza, ovvero in forma più estensiva, cioè contemplando anche la possibilità che il tirocinante svolga talune attività sotto la vigilanza del mediatore.

Preme evidenziare che, in entrambi i casi, , implica comunque un contatto diretto tra il mediatore in tirocinio e le parti coinvolte nella mediazione.

È preferibile la prima soluzione più restrittiva, che postula che il tirocinante deve limitarsi ad assistere alla mediazione compita dal mediatore vigilante senza compiere ulteriori attività.

Ciò appare in linea con la particolare natura della mediazione, in cui massima deve essere la consapevolezza delle parti che la gestione ed il compimento dell’attività diretta alla soluzione concordata della controversia derivi unicamente dal mediatore.

Le parti, cioè, devono potere individuare unicamente nel mediatore titolare il soggetto gestore di tutte le fasi del percorso di mediazione, ciò allo scopo di instaurare compiutamente il necessario rapporto di fiducia che costituisce una componente essenziale della riuscita di una mediazione.

Ancora, non percorribile appare la soluzione di contemplare la possibilità che il suddetto tirocinio possa svolgersi mediante la partecipazione ad una fase preliminare del procedimento di mediazione, per esempio relativamente alla verifica della rispondenza della domanda di mediazione ai requisiti regolamentari, all’individuazione delle indennità dovute, alla verifica dei poteri di rappresentanza ed agli altri aspetti afferenti, nonché la partecipazione in affiancamento ad altro mediatore.

Si tratta, in verità, di una attività che, seppure rilevante, è prodromica o successiva rispetto al nucleo centrale dell’attività di mediazione per la quali si è ritenuto di imporre l’ulteriore attività formativa: quella del momento del confronto delle altrui esperienze nel diretto contatto con le parti e con quanto emerge nel corso delle diverse sessioni.

In conclusione, dunque, il compimento del tirocinio formativo richiede che il mediatore assista, in modo diretto, allo svolgimento, da parte di altro mediatore iscritto, di taluna delle fasi in cui si svolge il percorso di mediazione in presenza delle parti (dalla prima sessione a quella di redazione del verbale conclusivo a seguito dell’accordo ovvero del mancato accordo).

in che modo devono essere conteggiati i venti casi di mediazione?

Si è posta, poi, la questione se, per il raggiungimento dei venti casi di mediazione cui il mediatore iscritto deve partecipare, debba richiedersi la presenza ad un intero percorso di mediazione (che va dalla prima sessione a quella conclusiva di redazione del verbale conclusivo) ovvero si possa più semplicemente partecipare anche a singole fasi del medesimo.

Deve essere preferita l’impostazione secondo cui costituisce partecipazione anche la sola presenza ad una singola fase di cui si compone il percorso di mediazione.

Questa soluzione è più in linea con la reale ratio della previsione normativa in esame che è quella di consentire ai mediatori già iscritti di potere verificare le modalità di gestione della mediazione da parte di altri mediatori, potendo in tal modo arricchire il proprio bagaglio formativo.

Sicchè, dovrebbe essere consentito a ciascun mediatore iscritto di potere verificare e sperimentare l’altrui esperienza ora in sede di prima sessione, ora in un momento successivo, ora nel momento in cui il mediatore ritiene di dovere formulare alle parti la proposta di mediazione, senza porre alcuna ulteriore preclusione.

In conclusione, ciascuna fase del percorso di mediazione costituisce momento utile per il conteggio dei venti casi di mediazione da attuare nel biennio.

Deve, qui, essere affrontato e definito un ulteriore profilo che ha costituito motivo di particolare riflessione.

Si è posto, cioè, il problema se la partecipazione assistita, per avere validità, debba essere compiuta solo relativamente a fasi di mediazione per così dire attive (ove, cioè, vi è stata la partecipazione di entrambe le parti e si è effettivamente proceduto ad attuare le diverse sessioni, congiunte o private, finalizzate al raggiungimento dell’accordo), ovvero anche ad ipotesi in cui, effettuata la comunicazione all’altra parte, il mediatore, in presenza dell’invitante, prende atto della mancata comparizione redigendo il verbale negativo, secondo quanto previsto nell’art.7, comma quinto, del d.m. 180/2010, come modificato dall’art.3, lett.a) del d.m. 145/2011.

Deve, a tal proposito, precisarsi che, tenuto conto delle ragioni sopra espresse circa le finalità perseguite con l’introduzione di un obbligo di tirocinio assistito per i mediatori, una vera ed effettiva attività in tal senso, ai fini del pieno arricchimento personale, non può che esigere la necessità di una partecipazione ad una mediazione “attiva”.

D’altro lato, questa direzione generale non può non considerare l’attuale momento di prima attuazione della disciplina della mediazione ed in particolare la circostanza che, dalle rilevazioni statistiche ad oggi fornite dalla direzione generale di statistica del Ministero, i procedimenti di mediazione con comparizione dell’aderente sono solo il 30,62% ma che, laddove invece l’aderente compare, il 52,58% delle mediazioni si chiudono con un verbale di conciliazione.

In questa fase, dunque, imporre l’espletamento dell’obbligo di tirocinio assistito solo per le mediazioni “attive” significherebbe limitare enormemente la possibilità di potere adempiere a quanto richiesto, in quanto difficilmente ciascuno mediatore già iscritto potrebbe, nel biennio, espletare la suddetta attività formativa.

D’altro lato, ci si rende altresì conto che ricercare, da parte del mediatore che intende partecipare ad una mediazione in tirocinio, il procedimento di mediazione “attivo” potrebbe comportare, stante il limitato numero di mediazioni in tal senso, il rischio di una disponibilità di tempo cui potrebbe non corrispondere una effettiva utilità ove si dovesse, invero, riscontrare, che il procedimento di mediazione deve chiudersi per mancata partecipazione della parte invitata.

Pertanto, deve ritenersi che, fino a quando la mediazione stragiudiziale non avrà, come invece ci si auspica, particolare seguito sotto il profilo della partecipazione della parte invitata al procedimento di mediazione, la necessità di consentire a tutti i mediatori iscritti di potere adempiere al proprio obbligo formativo introdotto con il decreto correttivo impone di ritenere valida, ai fini del conteggio delle venti partecipazioni nel biennio a titolo di tirocinio assistito, anche la presenza del mediatore in tirocinio alla redazione del verbale negativo redatto dal mediatore titolare, secondo quanto previsto dall’art.7, comma quinto, del d.m. 180/2010, come modificato dall’art.3, lett.a) del d.m. 145/2011.

Solo in un secondo momento, laddove cioè si avrà modo di riscontrare una tendenza al rialzo del numero di procedimenti di mediazione conclusisi con la partecipazione della parte invitata, si procederà ad una modifica del presente orientamento, esigendosi, invero, che l’obbligo del tirocinio assistito debba essere compiuto necessariamente partecipando a fasi “attive” del procedimento di mediazione, cioè a momenti del percorso di mediazione caratterizzati dalla partecipazione della parte invitata.

il tirocinio assistito deve essere rinnovato ogni biennio?

La previsione normativa in esame precisa letteralmente che la partecipazione in forma di tirocinio assistito ad almeno venti casi di mediazione deve essere compiuta nel biennio di aggiornamento.

Il che implica, di conseguenza, che l’obbligo di compiere tale ulteriore adempimento formativo deve essere costantemente aggiornato, così come, del resto, il medesimo impegno formativo sussiste per l’aggiornamento biennale da acquisirsi presso gli enti di formazione in base all’art.18, così come già prevedeva (e continua a prevedere) l’art.4, comma terzo, del d.i. 180/2010.

In conclusione, i mediatori iscritti, per ogni biennio successivo alla loro iscrizione, oltre a seguire uno specifico aggiornamento formativo presso gli enti di formazione in base all’art.18, dovranno altresì partecipare, sempre per ogni biennio successivo alla iscrizione, ad almeno venti casi di mediazione in forma di tirocinio assistito.

È appena il caso di precisare che deve compiersi una distinzione fra i mediatori già iscritti al momento dell’entrata in vigore del D.M. 145/2011 (26 agosto 2011) e quelli iscritti successivamente.

Per i mediatori già iscritti, il biennio ha inizio dalla data di entrata in vigore del suddetto decreto correttivo: è evidente, infatti, che solo da tale date può esigersi per essi il rispetto dell’ulteriore obbligo di aggiornamento.

Per i mediatori iscritti in data successiva, l’obbligo di aggiornamento avrà decorrenza dalla data di iscrizione di ciascuno di essi presso l’elenco dell’organismo di mediazione di appartenenza.

quanti tirocinanti possono essere presenti per ciascuna mediazione?

Non è possibile compiere in modo aprioristico ed astratto una delimitazione del numero di mediatori in tirocinio che possono, di volta in volta, essere presenti per ciascuna mediazione.

La soluzione più ragionevole, in mancanza di specifica indicazione normativa, è quella di lasciare la valutazione al responsabile di ciascun organismo di mediazione che dovrà tenere conto dei profili organizzativi, di appositi spazi a disposizione, del numero delle parti presenti, e cosi via.

Il principio di fondo, che deve costituire criterio essenziale di riferimento, è quello della capacità organizzativa di ciascun organismo quale esplicazione del requisito dell’efficienza richiesto dall’art.16, comma 1, del d.lgs. 28/2010.

L’applicazione di tale principio comporta, anche, la valutazione da parte del responsabile dell’organismo di mediazione del miglior modo di gestione del servizio, in ciò considerando pure, pertanto, la necessità di tutelare l’interesse delle parti in mediazione ad un ambiente sereno e privo di fonti di distrazione; il che si traduce, a seconda delle circostanze, anche nella valutazione di quale debba essere il numero di tirocinanti che possono essere presenti per ciascuna mediazione.

Non corretta, invece, è la soluzione di una registrazione della mediazione per una successiva visualizzazione, in quanto, per come detto, tale attività non è caratterizzata dalla percezione immediata ed in tempo reale ed è esclusa la possibile di immediata interlocuzione con il mediatore.

Sintesi dei principi espressi:

l’obbligo del tirocinio assistito riguarda solo i mediatori già iscritti;

la partecipazione al tirocinio assistito comporta solo la presenza del mediatore in tirocinio senza compimento di ulteriore attività che riguardi l’esecuzione di attività proprie del mediatore titolare del procedimento;

costituisce partecipazione valida anche la sola presenza del mediatore in tirocinio ad una singola fase del procedimento di mediazione;

costituisce partecipazione valida, allo stato e tenuto conto del limitato numero di mediazioni concluse con la partecipazione della controparte, anche la sola presenza del mediatore in tirocinio alla fase di redazione, da parte del mediatore titolare, del verbale negativo per mancata partecipazione della controparte;

il tirocinio assistito deve essere rinnovato ogni 2 anni;

la determinazione del numero dei mediatori in tirocinio che possono essere presenti di volta in volta è lasciata alla valutazione del responsabile dell’organismo, che terrà conto della natura dell’affare di mediazione e della propria capacità organizzativa e strutturale.

I criteri di assegnazione degli affari di mediazione:

L’art.4 del d.i. 145/2011 prevede che l’organismo iscritto deve precisare, nel regolamento di procedura, i criteri inderogabili per l’assegnazione degli affari di mediazione predeterminati e rispettosi della specifica competenza professionale del mediatore designato, desunta anche dalla tipologia di laurea universitaria posseduta.

La previsione normativa ha di mira una duplice finalità.

Da un lato, contribuisce a rendere ancora più evidente che l’organismo di mediazione deve operare nel rispetto della necessaria indipendenza (già indicata nell’art.60, comma terzo, lett.b) delle legge 69/2009) per ciascun affare di mediazione. Una delle modalità di attuazione è, appunto, l’attribuzione secondo criteri predeterminati degli affari di mediazione.

D’altro lato, emerge come uno dei criteri fondamentali per la ripartizione degli affari di mediazione debba essere quello, non solo della idoneità tecnica in materia di mediazione, ma anche della specifica competenza professionale che debba, quanto più possibile, corrispondere alla natura della controversia insorta tra le parti.

Dunque, nel redigere il regolamento di procedura dell’organismo in ordine al punto in esame occorre che siano tenute presenti le seguenti indicazioni:

nel regolamento di procedura dell’organismo devono essere espressamente indicati i criteri per l’assegnazione;
i suddetti criteri devono essere inderogabili; il che comporta che siano predeterminati ed oggettivi, nel senso che non può rinviarsi ad un momento successivo la concreta determinazione, ma devono essere indicati ex ante ed in modo oggettivo e quindi valevoli come parametro di riferimento per potere, di volta in volta, procedere alla ripartizione degli incarichi tra i mediatori; gli stessi, inoltre, devono essere certi, per evitare che l’assegnazione sia del tutto arbitraria, priva di effettiva giustificazione;
deve darsi rilievo, nel regolamento, alla competenza professionale dei mediatori iscritti.

È soprattutto quest’ultimo punto che merita particolare approfondimento.

Significativo è, a tal proposito, il modo in cui i singoli organismi di mediazione daranno attuazione a tale previsione nel momento in cui dovranno provvedere ad inserire i criteri richiesti nel proprio regolamento che costituirà il parametro di riferimento per la valutazione della corretta assegnazione degli affari fra i singoli mediatori.

A tal proposito, preme fornire le seguenti indicazioni.

– Nei singoli regolamenti non si potrà fare generico rinvio alla previsione di cui all’art.3 del d.i. 145/2011, in quanto occorrerà effettivamente indicare attraverso quali criteri il responsabile dell’organismo provvederà ad assegnare tra i mediatori ora l’uno ora l’altro incarico;

– la ripartizione degli affari di mediazione all’interno di ciascun organismo costituisce per il responsabile un’attività particolarmente delicata e significativa, in quanto deve essere rispettosa dei criteri oggettivi e predeterminati indicati nel regolamento i quali, a loro volta, devono tenere conto della competenza professionale di ciascun mediatore;

– tra i criteri oggettivi e predeterminati assume particolare rilievo la competenza professionale del mediatore, cioè il complesso delle specifiche conoscenze acquisite in relazione al percorso universitario svolto e, soprattutto, all’attività professionale esercitata;

– l’attività professionale, in quanto tale, è un requisito da intendersi in modo distinto dalla capacità tecnica di sostenere il percorso di mediazione, in quanto quest’ultima implica conoscenza specifica degli strumenti che devono essere attuati per condurre e svolgere adeguatamente il percorso di mediazione;

Ciò precisato, è opportuno chiarire che ciascun organismo di mediazione, per potere effettuare correttamente la ripartizione degli affari di mediazione, deve necessariamente procedere, ex ante, ad una distinzione per categorie dei propri mediatori in relazione alle specifiche competenze professionali dei medesimi (dando concreta attuazione alla previsione di cui all’art.7, comma 2 lett. d del d.m. 180/2010.

Pertanto, nei diversi regolamenti di procedura sarebbe opportuno che venisse espressamente indicato, proprio al fine di chiarire come avverrà l’assegnazione degli incarichi tenendo conto della competenza professionale, quale ripartizione interna di competenza professionale è stata compiuta tra i mediatori inseriti nel proprio elenco.

Va ancora detto che il raggruppamento dei mediatori per competenza non dovrebbe essere limitato alle materie giuridiche, ma a tutte le diverse materie di competenza possibili (tecniche, umanistiche, mediche, e così via.).

Al di là di questo primo, fondamentale criterio, devono intervenire altri criteri che tengono conto del grado di difficoltà della controversia, della esperienza del mediatore, della disponibilità del medesimo, e così via.

Fondamentale è, pertanto, il riferimento alla particolare natura della causa.
Sintesi dei principi espressi:

nei singoli regolamenti non si potrà fare generico rinvio alla previsione di cui all’art.3 del d.i. 145/2011;

tra i criteri oggettivi e predeterminati assume particolare rilievo la competenza professionale del mediatore, cioè le specifiche conoscenze acquisite in relazione al percorso universitario svolto e, soprattutto, all’attività professionale esercitata;

La chiusura del procedimento:

L’art.3 del d.i. correttivo prevede che, quando la mediazione è obbligatoria, il mediatore svolge l’incontro con la parte istante anche in mancanza di adesione della parte chiamata alla mediazione; in questo caso, l’attestato di conclusione del procedimento può essere rilasciato dalla segreteria dell’organismo, ma solo all’esito della verifica da parte del mediatore della mancata partecipazione della parte chiamata e del mancato accordo.

La norma, in primo luogo, si applica solo nel caso in cui l’esperimento del tentativo di mediazione è previsto come obbligatorio. Il che vuol dire che, in caso di mediazione volontaria o sollecitata dal giudice o per contratto, il mediatore può chiudere il procedimento di mediazione anche ove la parte istante non si sia presentata.

Nei casi, invece, in cui vi è obbligatorietà del tentativo di conciliazione, è essenziale che l’invitante si presenti davanti al mediatore, non potendo, diversamente, chiedere il rilascio dell’attestazione di conclusione del procedimento di mediazione.

Tale precisazione, in particolare, costituisce conferma di quanto già la direzione generale della giustizia civile aveva avuto modo di precisare con la circolare del 4 aprile 2011 in materia, per l’appunto, di chiusura del procedimento di mediazione.

In sostanza, si è voluto precisare che, nei casi di obbligatorietà del tentativo di mediazione:

l’invitante deve necessariamente presentarsi davanti al mediatore, indipendentemente dal fatto che l’altra parte abbia, eventualmente, dichiarato o rappresentato che non sarebbe stata presente;
è il mediatore che deve verbalizzare la mancata presenza della parte chiamata, non potendo tale attività essere compiuta dalla segreteria;
solo a seguito della redazione del verbale negativo del mediatore, la segreteria potrà rilasciare l’attestato di conclusione del procedimento.

Sintesi dei principi espressi:

nei casi in cui vi è obbligatorietà del tentativo di conciliazione, è essenziale che l’invitante si presenti davanti al mediatore, non potendo, diversamente, chiedere il rilascio dell’attestazione di conclusione del procedimento di mediazione. In questo caso, il mediatore dovrà attestare la mancata comparizione della controparte e la segreteria dell’organismo potrà rilasciare l’attestato di conclusione del procedimento di mediazione.

Le modifiche in materia di indennità:

diverse sono le modifiche apportate in materia di indennità di mediazione.

si è, in primo luogo, aumentata la misura dell’indennità in caso di successo della mediazione che da un quinto passa a un quarto dell’entità della indennità (art.5, comma 1, lett.a) del d.m. 145/2011);
in secondo luogo, in caso di obbligatorietà del tentativo di mediazione, si è ulteriormente ridotta la misura dell’indennità rispetto al precedente regime: la misura di un terzo rimane per i primi sei scaglioni, mentre per i restanti scaglioni la riduzione è della metà (art.5, comma 1, lett. b) del d.m. 145/2011);
in terzo luogo, nei casi di obbligatorietà del tentativo di mediazione, è rimasta salva la riduzione prevista dalla lettera e) del medesimo comma, con esclusione di ulteriori aumenti, ad eccezione di quello previsto dalla lett.b) in caso di successo della mediazione (art.5, comma 1, lett.b) del d.m. 145/2011).

Per chiarire, si osserva che deve essere compiuta una distinzione relativamente alla determinazione dell’indennità a seconda che la mediazione sia obbligatoria o facoltativa, in particolare:

in caso di mediazione obbligatoria

In questo contesto, occorre distinguere a seconda che l’altra parte compaia o meno.

Se l’altra parte compare:
a1) si opera una riduzione dell’importo dell’indennità, che sarà di un terzo per i primi sei scaglioni e della metà per gli altri scaglioni;
a2) l’importo dell’indennità potrà subire un aumento solo in caso di successo della mediazione (dunque, non potrà applicarsi alcun altro aumento previsto, invece, per le altre forme di mediazione, in caso di particolare importanza, complessità o difficoltà dell’affare, formulazione della proposta di mediazione).
Se l’altra parte non compare:
b1) l’indennità che dovrà essere corrisposta sarà unicamente di € 40,00, per il primo scaglione, o € 50,00, per gli altri scaglioni;

b2) nel caso di formulazione della proposta (ai sensi dell’art.11 del d.lgs. 28/2010) opera l’aumento di un quinto di cui alla lettera c) del comma quarto dell’art.16 del d.m. 180/2010, richiamato dall’art.5, comma 1, lett.c) del d.m. 145/2011.
in caso di mediazione facoltativa
Per la mediazione facoltativa, sollecitata dal giudice ovvero prevista dalle parti, le modifiche rispetto alla disciplina precedente riguardano quindi:
b1) la misura dell’aumento dell’indennità in caso di successo della mediazione;

b2) la riduzione a € 40,00 o € 50,00 in caso di mancata partecipazione dell’altra parte;
resta invariato, rispetto alla disciplina precedente:

l’aumento dell’indennità, in misura non superiore ad un quinto, in caso di particolare importanza, complessità o difficoltà dell’affare;
l’aumento in caso di formulazione della proposta del mediatore;
l’aumento, in misura non superiore ad un quarto, in caso di successo della mediazione.

A differenza, quindi, della mediazione obbligatoria, in caso di mediazione facoltativa si avrà il cumulo degli aumenti previsti.

Per completezza, poi, resta da definire un ultimo profilo, quello, cioè, della cumulabilità della spese di segreteria con quelle della mediazione.

A tal proposito, va chiarito che ai sensi dell’art.16, comma primo, del d.m. 180/2010 l’indennità comprende le spese di avvio del procedimento e le spese di mediazione.

Il successivo comma secondo prevede che per le spese di avvio è dovuto da ciascuna parte un importo di € 40,00 (dall’istante al momento del deposito della domanda di mediazione, dalla parte invitata solo al momento in cui intende aderire al procedimento e, quindi, prendervi parte).

Il comma terzo, poi, prevede che per le spese di mediazione è dovuto da ciascuna parte l’importo indicato nella tabella A allegata al decreto; il comma quarto, infine, stabilisce la misura in aumento od in diminuzione dell’importo massimo delle spese di mediazione.

Per quanto sopra esposto, le due voci di spesa assumono valenza diversa ed autonoma.

Le spese di avvio, stabilite in misura fissa ed unitaria, hanno riguardo, più specificamente, alle spese dell’organismo per potere avviare il procedimento di mediazione: ricezione della istanza, visione da parte della segreteria, fascicolazione e registrazione, comunicazione alla altra parte dell’inizio della procedura e così via.

Si tratta, dunque, delle spese relative all’attività di segreteria prodromica a quella di mediazione vera e propria svolta dal mediatore.

Quest’ultima, dunque, assume valenza diversa, in quanto riguarda le spese di concreto svolgimento dell’attività di mediazione (ricomprende infatti anche l’onorario del mediatore).

Si tratta, quindi, di due voci di spesa autonome che, unitamente considerate, formano l’indennità complessiva; la previsione, contenuta nel comma secondo dell’art.16 (secondo cui le spese di avvio sono a valere sull’indennità complessiva) implica unicamente che la spesa di segreteria, una volta corrisposta, è solo una parte dell’indennità complessiva da corrispondere.

Ciò comporta che, al verificarsi dei diversi momenti che connotano l’espletamento del servizio di mediazione, entrambe siano dovute.

Pertanto, oltre all’importo di € 40,00 dovuto per l’avvio del procedimento, dovranno essere corrisposte, in aggiunta, anche le ulteriori spese di mediazione secondo i criteri indicati nell’art.16, commi 3 e ssgg. del d.m. 180/2010, come modificati dall’art.5 del d.m. 145/2011.

Nel caso in cui, in particolare, trova applicazione la previsione contenuta nell’art.16, comma quarto lett.e) del d.m. 180/2010 (come modificato dall’art.5 del d.m. 145/2011) saranno dovute sia le spese di avvio del procedimento (di € 40,00) sia le spese per la mediazione non riuscita (non essendo comparsa nessuna delle controparti oltre quella che ha introdotto la mediazione).

Resta fermo, peraltro, che oltre alla suddetta indennità complessiva (spese di avvio e spese di mediazione) saranno dovute anche le spese vive, così come conteggiate e documentate dall’organismo di mediazione.

Va precisato, infine, che resta pur sempre nella facoltà degli organismi di mediazione stabilire una deroga in melius degli importi minimi delle indennità per ciascun scaglione di riferimento, come determinati a norma della tabella A allegata al d.m. 180/2010, così come previsto dall’art.5, comma 1, lett. f) del d.m. 145/2011: ciò nella chiara linea di una possibile riduzione del costo complessivo del procedimento di mediazione.

Per completezza, trattandosi di questione posta all’attenzione di questa amministrazione, preme compiere talune precisazioni in ordine alla partecipazione al procedimento di mediazione di persone che si trovino, secondo quanto prevede l’art.17, comma quinto, del d.lgs. 28/2010, nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato ai sensi dell’art.76 del t.u. di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n.115.

A tal proposito va infatti chiarito che:

della previsione contenuta nell’art.17, comma quinto, del d.lgs. 28/2010 è possibile avvalersi solo nel caso in cui la mediazione è condizione di procedibilità della domanda, secondo quanto previsto nell’art.5 della medesima legge;
nel caso in cui sussistano i presupposti previsti, l’organismo di mediazione è tenuto a fornire il servizio di mediazione senza diritto ad alcun compenso;
l’organismo di mediazione non potrà richiedere il pagamento del compenso nei confronti dell’erario o dell’amministrazione in generale;
la suddetta norma trova applicazione senza che possa distinguersi tra organismi di mediazione pubblici o privati: la norma contenuta nell’art.17, comma sesto, del d.lgs. 28/2010 richiama le indennità spettanti agli organismi pubblici unicamente al fine di rinviare compiutamente agli importi delle indennità di cui alla tabella A che, secondo la previsione contenuta nell’art.16, comma 13, si applicano unicamente agli organismi costituti da enti di diritto pubblico interno, salvo che trattasi di materia per le quali è prevista l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione: si tratta, infatti, di importi delle indennità previsti per gli organismi pubblici che, in caso di obbligatorietà del tentativo di mediazione trovano applicazione anche per gli organismi privati

Sintesi dei principi espressi:

le spese di avvio del procedimento e le spese di mediazione costituiscono due voci di spesa autonome che, unitamente considerate, formano l’indennità complessiva;
al verificarsi dei diversi momenti che connotano l’espletamento del servizio di mediazione, entrambe devono essere corrisposte;
oltre all’importo di € 40,00 dovuto per l’avvio del procedimento, dovranno essere corrisposte, in aggiunta, anche le ulteriori spese di mediazione secondo i criteri indicati nell’art.16, commi 3 e ssgg. del d.m. 180/2010, come modificati dall’art.5 del d.m. 145/2011;
oltre alla suddetta indennità complessiva dovranno essere corrisposte, altresì, le spese vive, purchè documentate dall’organismo di mediazione;
in caso di sussistenza delle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell’art.76 del t.u. di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n.115, tutti gli organismi, sia essi pubblici o privati, sono tenuti a svolgere il servizio di mediazione, senza potere pretendere alcun compenso né nei confronti della parte né nei confronti dell’erario o, in generale, dell’amministrazione.

Roma, 20 dicembre 2011
Il Direttore Generale

Maria Teresa Saragnano

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L’Europarlamento si esprime sulla mediazione in Italia

 

Il Parlamento Europeo si pronuncia nuovamente sulla mediazione: con la “Risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2011 sull’attuazione della direttiva sulla mediazione negli Stati membri, impatto della stessa sulla mediazione e sua adozione da parte dei tribunali” . Un documento articolato nel quale sono presenti diversi riferimenti alle modalità di applicazione della direttiva 2008/52/CE in Italia.

Innanzitutto, osserva che, fra gli Stati membri, l’Italia adotta un approccio rigoroso nei confronti della confidenzialità della procedura di mediazione;

osserva che, ai sensi dell’articolo 6 della direttiva, la maggior parte degli Stati membri dispone di una procedura per conferire all’accordo transattivo di mediazione la stessa autorità di una decisione giudiziaria; nota che ciò è conseguito mediante la presentazione dell’accordo al tribunale;

è del parere che l’articolo 8, riguardante gli effetti della mediazione sui termini di decadenza e prescrizione, costituisca una disposizione essenziale in quanto assicura che le parti che scelgono la mediazione nel tentativo di comporre una disputa, non siano ulteriormente private del diritto di essere ascoltate in tribunale, a causa del tempo trascorso in mediazione;

rileva che alcuni Stati membri hanno scelto di andare oltre i requisiti fondamentali della direttiva in due ambiti: gli incentivi finanziari per la partecipazione alla mediazione e i requisiti vincolanti di mediazione; osserva che tali iniziative nazionali contribuiscono a una composizione delle controversie più efficace e riducono il carico di lavoro dei tribunali;

riconosce che l’articolo 5, paragrafo, 2, consente agli Stati membri di rendere obbligatorio il ricorso alla mediazione o di sottoporlo a incentivi o a sanzioni, sia prima che dopo l’inizio della procedura giudiziaria, a condizione che ciò non impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario;

constata che alcuni Stati europei hanno intrapreso varie iniziative per fornire incentivi finanziari alle parti che deferiscono cause alla mediazione;

osserva che, oltre agli incentivi finanziari, taluni Stati membri il cui sistema giudiziario è oberato hanno fatto ricorso a norme che rendono obbligatorio avvalersi della mediazione; nota che in tali casi le cause non possono essere depositate in tribunale fino a quando le parti non avranno prima tentato di risolvere le questioni tramite la mediazione;

sottolinea che l’esempio più lampante è il decreto legislativo italiano n. 28 che punta a riformare il sistema giuridico e ad alleggerire il carico di lavoro dei tribunali italiani, notoriamente congestionati, riducendo i casi e il tempo medio di nove anni per risolvere un contenzioso in una causa civile; osserva che, come previsto, ciò non è stato accolto con favore dagli operatori, i quali hanno impugnato il decreto dinanzi ai tribunali e sono addirittura scesi in sciopero;

sottolinea che, nonostante le polemiche, gli Stati membri la cui legislazione nazionale va oltre i requisiti di base della direttiva sulla mediazione sembrano aver raggiunto risultati importanti nella promozione del trattamento non giudiziario delle controversie in materia civile e commerciale; osserva che i risultati raggiunti, in particolare in Italia, Bulgaria e Romania, dimostrano che la mediazione può contribuire a una soluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie attraverso procedure adeguate alle esigenze delle parti;

osserva che nel sistema giuridico italiano la mediazione obbligatoria sembra raggiungere l’obiettivo di diminuire la congestione nei tribunali; ciononostante sottolinea che la mediazione dovrebbe essere promossa come una forma di giustizia alternativa praticabile, a basso costo e più rapida, piuttosto che come un elemento obbligatorio della procedura giudiziaria.

Infine, più in generale:

osserva che le soluzioni derivanti dalla mediazione e sviluppate tra le parti non potrebbero essere fornite da un giudice o una giuria;

osserva che, conseguentemente, l’accettazione di un tale accordo è più probabile e che normalmente il livello di rispetto degli accordi oggetto di mediazione è alto;

ritiene che siano necessarie una consapevolezza e una comprensione maggiori della mediazione e richiede ulteriori azioni a favore dell’istruzione, della sensibilizzazione alla mediazione, del rafforzamento del ricorso alla mediazione da parte delle imprese e dei requisiti per l’accesso alla professione di mediatore;

è del parere che le autorità nazionali dovrebbero essere incoraggiate a sviluppare programmi per promuovere una conoscenza adeguata delle composizioni alternative delle controversie; reputa che tali azioni dovrebbero riguardare i principali vantaggi della mediazione, cioè i costi, il tasso di successo e l’efficienza in termini temporali, e dovrebbero coinvolgere avvocati, notai e imprese, in particolare le PMI, nonché docenti universitari;

riconosce l’importanza di stabilire norme comuni per l’accesso alla professione di mediatore per promuovere una migliore qualità della mediazione e assicurare standard di formazione professionale elevati e l’accreditamento in tutta l’Unione.

Segue il testo completo:

Risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2011 sull’attuazione della direttiva sulla mediazione negli Stati membri, impatto della stessa sulla mediazione e sua adozione da parte dei tribunali (2011/2026(INI))

Il Parlamento europeo,

– visti gli articoli 67 e 81, paragrafo 2, lettera g), del trattato sul funzionamento dell’Unione europea,

– vista la sua posizione del 23 aprile 2008 relativa alla posizione comune del Consiglio in vista dell’adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale (1),

– viste le audizioni della commissione giuridica del 20 aprile 2006, del 4 ottobre 2007 e del 23 maggio 2011,

– vista la direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale(2),

– visti l’articolo 48 e l’articolo 119, paragrafo 2, del suo regolamento,

– vista la relazione della commissione giuridica (A7-0275/2011),

A. considerando che assicurare un migliore accesso alla giustizia è uno degli obiettivi principali della politica dell’Unione europea per istituire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia e che il concetto di accesso alla giustizia dovrebbe, in tale contesto, includere l’accesso a un adeguato processo di composizione delle controversie per gli individui e le imprese;

B. considerando che l’obiettivo della direttiva 2008/52/CE è quello di promuovere la composizione amichevole delle dispute, incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo un’equilibrata relazione fra questa e i procedimenti giudiziari,

C. considerando che, al fine di facilitare l’accesso alla mediazione come valida alternativa al tradizionale approccio conflittuale e di garantire che le parti che ricorrono alla mediazione nell’Unione europea beneficino di un quadro legislativo prevedibile, la direttiva introduce principi comuni affrontando, in particolare, gli aspetti della procedura civile,

D. considerando che oltre alla prevedibilità, la direttiva punta a istituire un quadro che preservi il principale vantaggio della mediazione, la flessibilità; che questi due requisiti dovrebbero guidare gli Stati membri al momento di redigere le leggi nazionali per l’attuazione della direttiva,

E. considerando che la direttiva 2008/52/CE ha destato l’interesse anche dei paesi vicini e che ha esercitato un’influenza evidente sull’introduzione di una legislazione simile in alcuni di questi paesi;

F. considerando che gli Stati membri sono tenuti a conformarsi alla presente direttiva entro il 21 maggio 2011, con l’eccezione dell’articolo 10, per il quale la data di adempimento è stata il 21 novembre 2010, e che finora la maggior parte degli Stati membri ha riferito di aver completato il processo di attuazione o di completarlo entro il termine, e solo alcuni Stati membri non hanno ancora segnalato il rispetto delle disposizioni della direttiva, ovvero la Repubblica ceca, l’Austria, la Finlandia e la Svezia,

G. considerando che il Parlamento europeo reputa importante esaminare le modalità di applicazione della legge da parte degli Stati membri per conoscere il parere di quanti praticano e utilizzano la mediazione e per individuare se e come potrebbe essere migliorata,

H. considerando che, a tal fine, dovrebbe essere effettuata un’analisi approfondita dei principali approcci regolamentari degli Stati membri, per individuare buone pratiche e trarre conclusioni su eventuali ulteriori azioni a livello europeo,

I. considerando che il piano d’azione della Commissione per l’attuazione del programma di Stoccolma prevede una comunicazione sull’attuazione della direttiva sulla mediazione nel 2013,

J. considerando che è opportuno prendere in considerazione le modalità con cui gli Stati membri hanno attuato le principali disposizioni della direttiva sulla mediazione, in merito alla possibilità che le giurisdizioni propongano la mediazione direttamente alle parti (articolo 5), la garanzia di confidenzialità (articolo 7), il carattere esecutivo degli accordi derivati da una mediazione (articolo 6) e gli effetti della mediazione sui termini di decadenza e di prescrizione (articolo 8),

K. considerando che la Commissione ha incluso nel suo programma di lavoro per il 2011 una proposta legislativa sulla composizione alternativa delle controversie,

1. osserva che il requisito della confidenzialità stabilito dalla direttiva esisteva già nella legislazione nazionale di alcuni Stati membri: in Bulgaria, il codice di procedura civile precisa che i mediatori possono rifiutarsi di testimoniare su una controversia in cui hanno mediato; in Francia e in Polonia le leggi che disciplinano la mediazione civile stabiliscono disposizioni analoghe; osserva che, fra gli Stati membri, l’Italia adotta un approccio rigoroso nei confronti della confidenzialità della procedura di mediazione, mentre le norme svedesi sulla mediazione stabiliscono che la confidenzialità non è automatica e richiedono un accordo fra le parti in tal senso, reputa che sia necessario un approccio più coerente;

2. osserva che, ai sensi dell’articolo 6 della direttiva, la maggior parte degli Stati membri dispone di una procedura per conferire all’accordo transattivo di mediazione la stessa autorità di una decisione giudiziaria; nota che ciò è conseguito mediante la presentazione dell’accordo al tribunale o mediante la sua autenticazione notarile e che a quanto pare più legislature nazionali hanno optato per la prima soluzione, mentre in molti Stati membri l’autenticazione notarile e altresì un’opzione disponibile ai sensi del diritto nazionale: ad esempio, mentre in Grecia e in Slovenia la legge prevede che un accordo di mediazione possa essere applicato dai tribunali, nei Paesi Bassi e in Germania gli accordi possono acquisire carattere esecutivo come atti notarili, e in altri Stati membri, come ad esempio in Austria, ai sensi della normativa vigente, gli accordi possono acquisire carattere esecutivo in quanto atti notarili, senza che la pertinente normativa nazionale faccia espressamente riferimento a detta possibilità; invita la Commissione a garantire che tutti gli Stati membri che ancora non si sono conformati all’articolo 6 della direttiva vi si conformino senza indugio;

3. è del parere che l’articolo 8, riguardante gli effetti della mediazione sui termini di decadenza e prescrizione, costituisca una disposizione essenziale in quanto assicura che le parti che scelgono la mediazione nel tentativo di comporre una disputa, non siano ulteriormente private del diritto di essere ascoltate in tribunale, a causa del tempo trascorso in mediazione; nota che a tal riguardo gli Stati membri non hanno segnalato nessuna questione;

4. rileva che alcuni Stati membri hanno scelto di andare oltre i requisiti fondamentali della direttiva in due ambiti: gli incentivi finanziari per la partecipazione alla mediazione e i requisiti vincolanti di mediazione; osserva che tali iniziative nazionali contribuiscono a una composizione delle controversie più efficace e riducono il carico di lavoro dei tribunali;

5. riconosce che l’articolo 5, paragrafo, 2, consente agli Stati membri di rendere obbligatorio il ricorso alla mediazione o di sottoporlo a incentivi o a sanzioni, sia prima che dopo l’inizio della procedura giudiziaria, a condizione che ciò non impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario;

6. constata che alcuni Stati europei hanno intrapreso varie iniziative per fornire incentivi finanziari alle parti che deferiscono cause alla mediazione: in Bulgaria, le parti ricevono un rimborso del 50% dell’imposta statale già versata per il deposito della causa in tribunale, se essa viene risolta con successo grazie alla mediazione, mentre la legge rumena prevede il rimborso totale della tassa giudiziaria, se le parti risolvono un contenzioso attraverso la mediazione; rileva che la legislazione ungherese prevede disposizioni analoghe e che in Italia tutti gli atti e gli accordi di mediazione sono esenti da imposte di bollo e tasse;

7. osserva che, oltre agli incentivi finanziari, taluni Stati membri il cui sistema giudiziario è oberato hanno fatto ricorso a norme che rendono obbligatorio avvalersi della mediazione; nota che in tali casi le cause non possono essere depositate in tribunale fino a quando le parti non avranno prima tentato di risolvere le questioni tramite la mediazione;

8. sottolinea che l’esempio più lampante è il decreto legislativo italiano n. 28 che punta a riformare il sistema giuridico e ad alleggerire il carico di lavoro dei tribunali italiani, notoriamente congestionati, riducendo i casi e il tempo medio di nove anni per risolvere un contenzioso in una causa civile; osserva che, come previsto, ciò non è stato accolto con favore dagli operatori, i quali hanno impugnato il decreto dinanzi ai tribunali e sono addirittura scesi in sciopero;

9. sottolinea che, nonostante le polemiche, gli Stati membri la cui legislazione nazionale va oltre i requisiti di base della direttiva sulla mediazione sembrano aver raggiunto risultati importanti nella promozione del trattamento non giudiziario delle controversie in materia civile e commerciale; osserva che i risultati raggiunti, in particolare in Italia, Bulgaria e Romania, dimostrano che la mediazione può contribuire a una soluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie attraverso procedure adeguate alle esigenze delle parti;

10. osserva che nel sistema giuridico italiano la mediazione obbligatoria sembra raggiungere l’obiettivo di diminuire la congestione nei tribunali; ciononostante sottolinea che la mediazione dovrebbe essere promossa come una forma di giustizia alternativa praticabile, a basso costo e più rapida, piuttosto che come un elemento obbligatorio della procedura giudiziaria;

11. riconosce i risultati positivi conseguiti grazie agli incentivi finanziari previsti dalla legge bulgara sulla mediazione; ammette tuttavia che i risultati sono dovuti anche agli interessi manifestati da tempo per la mediazione dal sistema giuridico bulgaro, dal momento che la mediazione esiste dal 1990 e dal 2010 il Centro di regolamentazione delle controversie, composto da mediatori che lavorano a turno, fornisce quotidianamente servizi di mediazione gratuiti e informazioni alle parti in processi pendenti; rileva che in Bulgaria due terzi delle cause citate sono stati oggetto di mediazione e la metà di esse è stata portata a termine con successo in mediazione;

12. prende altresì atto dei risultati positivi della legge rumena sulla mediazione: sono state stabilite disposizioni sugli incentivi finanziari ed è stato creato un Consiglio di mediazione, autorità nazionale per la pratica della mediazione e organo giuridico autonomo; osserva che quest’organo è esclusivamente dedicato a promuovere l’attività di mediazione, sviluppare corsi di formazione, preparare prestatori di formazione, rilasciare documenti che attestano le qualifiche professionali dei mediatori, adottare un codice etico e formulare proposte per ulteriore legislazione;

13. ritiene che, alla luce di quanto precede, gli Stati membri saranno nel complesso per lo più in grado di attuare la direttiva 2008/52/CE entro il 21 maggio 2011 e che, mentre alcuni Stati utilizzano vari approcci normativi e altri sono un po’ in ritardo, resta il fatto che la maggior parte degli Stati membri non solo ha applicato la direttiva, ma è di fatto in anticipo sui suoi requisiti;

14. sottolinea che è più probabile che le parti disposte ad adoperarsi per comporre la propria controversia siano più propense a cooperare tra loro, anziché ad agire l’una contro l’altra; ritiene quindi che queste parti siano spesso più aperte a prendere in considerazione la posizione altrui e ad adoperarsi per risolvere le questioni soggiacenti alla controversia; considera che ciò ha spesso ha il vantaggio aggiuntivo di preservare la relazione che le parti avevano prima della controversia, elemento di particolare importanza nelle questioni familiari che coinvolgono i bambini;

15. incoraggia la Commissione a esaminare, nella sua futura comunicazione sull’attuazione della direttiva 2008/52/CE, anche quei settori dove gli Stati membri hanno deciso di ampliare le misure della direttiva al di là dell’ambito di applicazione previsto;

16. sottolinea le caratteristiche più agevoli degli schemi alternativi di composizione delle controversie, che offrono una soluzione pratica su misura; chiede alla Commissione, a tal proposito, di presentare rapidamente una proposta legislativa sulla composizione alternativa delle controversie;

17. osserva che le soluzioni derivanti dalla mediazione e sviluppate tra le parti non potrebbero essere fornite da un giudice o una giuria; ritiene quindi più probabile che la mediazione porti a un risultato che sia reciprocamente accettabile o che soddisfi gli interessi di entrambe le parti; osserva che, conseguentemente, l’accettazione di un tale accordo è più probabile e che normalmente il livello di rispetto degli accordi oggetto di mediazione è alto;

18. ritiene che siano necessarie una consapevolezza e una comprensione maggiori della mediazione e richiede ulteriori azioni a favore dell’istruzione, della sensibilizzazione alla mediazione, del rafforzamento del ricorso alla mediazione da parte delle imprese e dei requisiti per l’accesso alla professione di mediatore;

19. è del parere che le autorità nazionali dovrebbero essere incoraggiate a sviluppare programmi per promuovere una conoscenza adeguata delle composizioni alternative delle controversie; reputa che tali azioni dovrebbero riguardare i principali vantaggi della mediazione, cioè i costi, il tasso di successo e l’efficienza in termini temporali, e dovrebbero coinvolgere avvocati, notai e imprese, in particolare le PMI, nonché docenti universitari;

20. riconosce l’importanza di stabilire norme comuni per l’accesso alla professione di mediatore per promuovere una migliore qualità della mediazione e assicurare standard di formazione professionale elevati e l’accreditamento in tutta l’Unione;

21. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione e ai parlamenti degli Stati membri.

FONTE: Parlamento Europeo

http://www.mcmconciliare.com/news-eventi-mcm-adr-conciliare/187-leuroparlamento-si-esprime-sulla-mediazione-in-italia.html

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Il giudice sanzionerà la mancata partecipazione

Nella manovra bis è stato approvato un importante emendamento che sanziona la mancata partecipazione nei casi di mediazione obbligatoria. E’ quanto disciplinato dall’Art. 2 comma  35-sexies, prevedendo che all’articolo 8, comma 5, del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, sia aggiunto, in fine, il seguente periodo:

Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per giudizio”.

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